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Channel: Fotocrazia » Roberto Koch
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Tranquilli, è ancora viva

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formaSe muore la fotografia, be’, allora viva la fotografia. Mi aveva sorpreso, e all’inizio preoccupato, la tranquilla spensieratezza con cui la platea sorprendentemente folta della tre-giorni che la Fondazione Forma di Milano ha appena dedicato allo stato della fotografia in Italia (sui cui contenuti non mi dilungo perché con tempestività la Fondazione ha messo online i podcast audio di tutti i dibattiti, e perché su alcuni spunti tornerò) accoglieva i ripetuti e autorevoli annunci di avvenuta dipartita dell’oggetto stesso della discussione: la fotografia è morta, è stato tutto molto bello ma adesso lei non c'è più, al suo posto ora c’è un’altra cosa, c’è l’immagine, c’è quella sfuggente indefinibile materia visuale che fluisce tra i fotofonini e l’immenso formicaio di Internet, eccetera. Opinioni sensatamente sostenute e, per carità, seriamente fondate come i lettori di questo blog mi hanno già sentito sostenere. Sorprendente però mi era parsa la rassegnata e perfino soddisfatta mancanza di sobbalzi e resilienze di fronte a al necrologio, da parte di una assemblea densa di addetti ai lavori (officianti?), responsabili di musei (mausolei?), operatori dei media (necrologi?), fotografi (parenti in lutto?). Mi suonava strano quel presunto funerale in cui nessuno sembrava poi troppo afflitto, né si domandava se il caro estinto, vedi mai, non avesse magari avuto in vita qualche merito da rimpiangere, qualche virtù di cui sentiremo fortemente la mancanza, insomma che la sua prematura scomparsa abbia lasciato in qualche modo un vuoto incolmabile nella nostra vita.

Poi mi pare di avere capito che va bene così, che è inutile levare alte grida da prefiche: che accanirsi con angoscia nella controversia autoptica sullo stato del cadavere e sulle cause della morte in fondo è cadere in un circolo vizioso che ci lascia tutti allo stesso punto di prima; che i media non muoiono mai davvero e per sempre, che se la pittura in venticinquemila anni di storia è stata data per persa molte più volte, l’unico modo per fare i conti con un medium che in centosettant’anni di storia ha metabolizzato svolte epocali fors'anche più  profonde della presunta rivoluzione digitale in corso, è continuare a parlarne, anzi forse cominciare a parlarne insieme come si è fatto in questi giorni: cioè finalmente in modo trasversale fra tutte le competenze, i ruoli, le professioni coinvolte nel “sistema fotografia”. A Milano, mi pare di poter dire al di là di ogni inevitabile lacuna e squilibrio nel programma, ha mosso i primi passi un benvenuto tentativo di creazione di quel “discorso sul fotografico” che nel nostro paese, a differenza di altre nazioni dalla storia fotografica non poi più nobile della nostra, non è mai esistito: uno “spazio discorsivo” che si fondi su linguaggio comune, su una serie di paradigmi, concetti, vocaboli se non unanimemente condivisi almeno comunemente risonoscibili e accettati, uno spazio culturale che ora dovrebbe cercare di darsi “istituzioni” (parola che, quando l’ho pronunciata, è stata accolta con un certo raccapriccio: ma è ovvio che non penso a un Ministero della Fotografia, parlo semmai di riviste non commerciali, incontri non episodici, comunità reali e virtuali di ricerca e scambio di idee ed esperienze).

Non è mancato qualche malumore: soprattutto dalla platea in cui, fino all’ultimo dibattito in scaletta, sono rimasti confinati i produttori di immagini ottiche, i fotografi, a ribollire spesso una buona dose di malumore para-sindacale, forse non ingiustificato ma talvolta solo emotivo, nei confronti dei media, delle scuole, del mercato. La fotografia certo non è solo un campo della cultura, non è prioritariamente una disciplina artistica, è anche una professione, una delle più bistrattate del mondo della comunicazione (difficile lavorare con un media dato quotidianamente per morto e sepolto...). Che questo convegno abbia parlato di loro più che attraverso di loro, però, non lo giudico un difetto né una colpa: l’esistenza di un sistema-fotografia consapevole di se stesso, un po’ meno venato di concorrenza professionale, di isolamento categioriale, di gelosie intellettuali e autosufficienze, alla fine farà bene anche ai "produttori", magari per stimolarli a quello sforzo di auto-organizzazione professionale e perché no sindacale che non sembra essere stato molto profuso negli ultimi anni.

Ho iniziato pessimista, finisco dunque ottimista. Un buon risultato per un brontolone, lo garantisco a Roberto Koch di Contrasto che questo convegno ha voluto. Dice che ne stamperà gli atti: li aspettiamo, saranno utili.


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